La problematica dei PFAS nelle acque delle zone contaminate
Nell’estate 2013, a seguito di una campagna di misurazione di sostanze chimiche contaminanti rare sui principali bacini fluviali italiani è emerso un inquinamento diffuso da sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) in alcuni ambiti del territorio della Regione Veneto.
La campagna di misure era stata promossa tra il 2011 e il 2013 dal Ministero dell'Ambiente e condotta da IRSA-CNR, l’Istituto di Ricerca sulla Acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche che ha il compito di svolgere attività di ricerca nei settori della gestione e protezione delle risorse idriche.
Durante queste campagne la presenza di PFAS è stata riscontrata anche nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani. Sono stati rinvenute contaminazioni in pozzi a distanza superiore ai 50 Km dalla sorgente, che hanno fatto pensare a meccanismi di propagazione diversi dalla semplice dispersione idrica sotteranea, che non erano compresi con certezza. L’estensione della problematica era tale da dare al fenomeno una valenza di scala europea.
La questione PFAS è in realtà internazionale, perché principalmente legata alla produzione mondiale volontaria di questi composti, che da un lato hanno delle proprietà utili all’industria, ma che dall’altro, se disperse nell’ambiente, costituiscono un problema per la salute umana.
Gli effetti dei PFAS sulla salute umana
Le attuali conoscenze relative agli effetti dei PFAS sulla salute derivano da studi condotti su animali e da indagini epidemiologiche su lavoratori e popolazioni esposte. Molte aree di indagine meritano migliori approfondimenti e studi sugli effetti dei PFAS sono tuttora in corso.
Ricerche condotte negli Stati Uniti hanno concluso che esiste un’associazione probabile tra esposizione a PFOA e ipercolesterolemia, ipertensione in gravidanza e pre-eclampsia, malattie della tiroide e alterazioni degli ormoni tiroidei, colite ulcerosa, tumore del rene e tumore del testicolo. Ulteriori studi hanno inoltre rilevato la possibile associazione con: aumento moderato degli enzimi epatici, non associato a malattie del fegato; riduzione della risposta immunitaria alle vaccinazioni; riduzione del peso medio alla nascita.
Dati recenti vengono dall’opinione EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) del 2020, dove viene messo in evidenza un legame diretto tra l’esposizione ai PFAS e l’aumento dei livelli di colesterolo nel sangue, oltre a una risposta immunitaria minore verso i vaccini. La popolazione più a rischio è quella dei bambini e dei ragazzi.
L’International Agency of Research on Cancer (IARC) ha classificato il PFOA come possibile cancerogeno per l’uomo (gruppo 2b), sulla base di una limitata evidenza nell’uomo (per le sedi del testicolo e del rene) e nell’animale di laboratorio.
La contaminazione delle acque e il problema delle acque di pozzo
Il caso Veneto può aiutare a comprendere meglio quali siano le possibili fonti di contaminazione da monitorare. In questi territori i PFAS sono stati riscontrati nelle acque superficiali, nelle acque sotterranee e anche in alcuni campioni di acque destinate al consumo umano.
Nelle zone contaminate non tutta la popolazione era allacciata all’acquedotto per attingere l’acqua e si riforniva unicamente da pozzi privati, tutt’ora molto diffusi. Fin dal 2014 l’Ente Gestore ha stanziato dei fondi per l’estensione della rete acquedottistica a tutti gli utenti che non fossero allacciati: l’estensione del territorio ed il numero degli interventi ha reso complicato l’adeguamento.
Per quanto riguarda l’acqua ad uso irriguo, nel 2017 la Regione Veneto ha affidato ad ARPAV (l’Agenzia veneta per la protezione dell’ambiente) il monitoraggio e il campionamento dei pozzi irrigui, zootecnici e domestici nei comuni a rischio, proposto gratuitamente agli abitanti. I pozzi campionati da ARPAV sono stati 66, contro una stima di 1000 pozzi presenti in totale. Sono stati anche stanziati finanziamenti regionali per le aziende agricole della zona, proponendo sia allacciamenti alla rete consortile, che nuovi pozzi in aree non contaminate, che l’installazione di filtri anti-PFAS. La risposta è stata nulla, non sono state presentate domande di finanziamento.
Non sappiamo quali siano i motivi ma preoccupa il sospetto che ci possa essere una mancata consapevolezza del pericolo derivante dall’utilizzo di acqua di pozzo contaminata, sia per usi umani, che per l’abbeveraggio di animali o l’irrigazione. Un pericolo che è possibile superare grazie ad analisi opportune e all’attuazione di tutte le possibili soluzioni alternative.
Analizzare l’acqua per avere maggiore consapevolezza
Fin dagli anni della prima “emergenza PFAS” il Ministero della Salute aveva precisato che entro determinati livelli di contaminazione (comunque entro i limiti di dose massima tollerabile consigliata da EFSA) era possibile utilizzare l’acqua per il lavaggio degli indumenti e anche per l’igiene personale, e se ne consigliava l’uso per il lavaggio delle stoviglie solo per brevi contatti, utilizzando acqua potabile per l’ultimo risciacquo.
Mentre l’acqua di acquedotto risulta costantemente monitorata anche per la presenza dei PFAS, le acque dei pozzi privati non vengono analizzate se non per volere del proprietario: assicurarsi della qualità della propria acqua permette di gestirla in sicurezza per tutti gli usi di cui si necessiti.